“Quel legame indissolubile con il terremoto dell’80, Avellino ha bisogno di gesti concreti. E’ come il carbone che arde sotto la cenere”
Ho letto che i calciatori dell’Ascoli hanno dormito in auto con le famiglie dopo le forti scosse di terremoto dell’altro giorno tra Marche e Umbria. Uniti e associati, in questo momento difficile, alla gente che rappresentano in campo durante le partite. E immediatamente mi è tornata alla mente quanto accadde ad Avellino e in Irpinia nei giorni del tragico terremoto del 23 novembre 1980. Ricordo la gioia per aver vissuto quel giorno una storica vittoria proprio sull’Ascoli al Partenio e poi la soddisfazione per le belle parole del compianto Paolo Valenti per la vittoria dei Lupi in campionato durante il seguitissimo 90° Minuto, su Rai1. Ma soprattutto ricordo i volti e gli occhi dei calciatori dell’Avellino che vissero quella tragica esperienza del terremoto. Gente tosta, rude, come l’allenatore Luis Vinicio, come capitan Salvatore Di Somma, come il portierone Stefano Tacconi, che al solo ricordo di quegli eventi (in realtà anche molti anni dopo) non riuscivano a trattenere la commozione. I calciatori che componevano la formazione biancoverde in quella situazione si dimostrarono eccezionali, non per quanto facevano in campo domenica dopo domenica, con tutte le difficoltà legate alla mancanza dello stadio utilizzato per l’emergenza sfollati, non perché dettero vita a una stagione entusiasmante calcisticamente, ma perché si dimostrarono veri uomini, o meglio, uomini tra uomini. Nel corso degli anni ho raccolto ricordi e testimonianze di chi ha visto con i propri occhi molti dei calciatori dell’Avellino prodigarsi per dare una mano a chi era nel bisogno nell’immediata emergenza, a partire dalla sera stessa del 23 novembre. Non farò i nomi di tutti, ma voglio solo usare un nome che poi è diventato una bandiera: Salvatore Di Somma. Il capitano di quella squadra, come molti suoi colleghi, si sporcarono le mani quella notte e nei giorni successivi perché non riuscirono a restare indifferenti per una situazione così drammatica. Quell’evento rese ancora più forte il legame tra squadra dell’Avellino e l’intera provincia che rappresentava e continua a rappresentare. Un legame che non si è mai interrotto né affievolito. È stato solo congelato da una serie di vicissitudini, di cocenti delusioni, di promesse mancate e di gestioni scellerate che hanno messo una parte della tifoseria in stand by, in attesa di tempi migliori. Un legame che però è come il carbone che arde sotto la cenere e che grazie a una folata di vento, a un soffio di aria nuova e pura, esce allo scoperto più caldo e forte che mai. Il tifo biancoverde oggi ha bisogno di parole chiare, di gesti concreti, di percorsi univoci, di risposte serie, dopodiché saprà come scatenarsi e offrire il grande sostegno di cui è capace. Un percorso che credo sia possibile. E io ci credo ancora.