
Il 9 Settembre balza nuovamente agli oneri della cronaca Kim Jong-un, classe 1983, il leader supremo della Corea del Nord, per la corsa agli armamenti nucleari e all’ennesimo test effettuato nella zona a nord della località di Sengjibaegam, poco distante dalla base di Pungyye-ri, uno dei poligoni militari nordcoreani usati per i precedenti test atomici.
Ovviamente il quinto test atomico ha scatenato la reazione della comunità internazionale che immediatamente ha fatto sentire la propria voce, accusando Kim Jong-un di esser affetto da “manie incontrollabili”. Di certo sul Leader coreano girano miriadi di storie volte ad attaccare il regime dittatoriale pluridecennale nord coreano, dalle storie di profonde torture inflitte agli accusati di vilipendio, alla curiosa storia dei tagli di capelli concessi dallo stato, alla notizia, poi rivelatosi una bufala, delle presunte torture e i lavori forzati rimediati dalla nazionale calcistica maschile durante i mondiali Sudafricani. Ovviamente quasi tutte le notizie non hanno una fonte certa e sono difficili da affermare, molte notizie assurde sul dittatore nordcoreano si sono rivelate prive di fondatezza ma ugualmente svolgono la funzione di buttare fango sull’integrità della forma di governo nordcoreana.
Ma vien spontaneo pensare, in uno stato dittatoriale cosi preponderante nella vita di tutti i cittadini, come viene vissuto lo sport? Com’è guardare una partita di calcio a Pyongyang?
Sport
Partiamo dal presupposto che la Corea del Nord ha concluso le Olimpiadi di Rio 2016 con un palmares composto da sole 7 medaglie, di cui 2 ori 3 argenti e 2 bronzi, confermandosi prima nella ginnastica artistica e nel sollevamento pesi. I primi sforzi nel dare un’immagine migliore di sé attraverso le competizioni internazionali. Nell’ultimo periodo la Corea del Nord ha infatti intensificato la presenza nelle manifestazioni internazionali, giungendo anche a risultati degni di nota, come per l’appunto Rio 2016. A livello mediatico ha avuto grande risalto la partecipazione della Nazionale di calcio ai Mondiali sudafricani del 2010, ricordando l’immagine più forte, il pianto di Jong Tae-Se durante l’inno nazionale prima del match con il Brasile. Chissà se l’esito di quel mondiale sudafricano non sia dovuto ai consigli tattici suggeriti dal leader, cosi come affermato dal Ct durante una conferenza stampa. Ma, per fortuna, non mancano anche esempi positivi, che testimoniano come lo sport a volte sia un agente di distensione dell’atteggiamento della Corea del Nord verso l’esterno. Il più significativo è stato di certo lo svolgimento dell’Asian Cup di sollevamento pesi nel 2013 proprio in Corea del Nord: per la prima volta degli atleti del Sud hanno partecipato ad un evento sportivo svoltosi nella Repubblica Popolare Democratica di Corea, dopo che la guerra degli anni ‘50 si era conclusa con un armistizio e non con un trattato di pace. Nell’occasione un giovane sudcoreano, Kim Woo-sik, si è addirittura aggiudicato la medaglia d’oro della categoria 85 chili, facendo sventolare per la prima volta la bandiera di Seul oltre il trentottesimo parallelo.
Calcisticamente parlando il miglior risultato ottenuto dalla Nazionale nordcoreana risale al campionato del mondo 1966 in Inghilterra. La nazionale nordcoreana nessuno la conosceva. Era l’unica squadra asiatica a partecipare a quella Coppa del Mondo ed era formata interamente da giocatori dilettanti. Per tutti era la squadra di gran lunga più debole del torneo. Dopo aver pareggiato 1-1 con il Cile (con rete di Pak Seung-Zin nei minuti finali) e sconfitto clamorosamente l’Italia per 1-0 grazie alla decisiva marcatura di Pak Doo Ik, la squadra superò la prima fase, venendo eliminata solo ai quarti di finale contro il Portogallo.
Com’è vissuto il calcio in uno stato a regime dittatoriale?
In un articolo della BBC scritto da Tim Hartley, si racconta di una partita di calcio con 50.000 spettatori presenti nello Stadio Kim II-sung, tana del Pyongyang City Sports Club che quel giorno si sarebbe sfidato con l Amrokgang.
Proviamo ad immaginare l’atmosfera: un silenzio tombale, nessun strepito o schiamazzo (proprio come al “Partenio Lombardi”). Non vi sono cori, nè sciarpe nè bandiere ma file di uomini che siedono in silenzio indossando abiti identici con indosso una spilla, non volta a raffigurare i colori della squadra del cuore, ma è una spilla del Leader Supremo, campo in prato artificiale e fischio d’inizio fissato per le 9.30 del mattino. Molti dei presenti sono soldati, il giornalista afferma di non sapere se fossero obbligati o meno a seguire il match, fatto sta che vide persone leggere un libro e non mostrar interesse per la partita. Tornando al match in questione si conclude con la vittoria della squadra di casa, ma sarebbe stato impossibile capirlo, a quanto afferma Tim Hartley, dalla reazione della folla, nessuno si è scomposto, nemmeno nel momento in cui hanno provato ad intonare dei cori in stile occidentale per sostenere il team di Pyongyang. Mi piacerebbe pensare che il pubblico è andato a casa felice, afferma, ma nessuna emozione traspariva sui volti dei soldati e dei fedeli di partito mentre marciavano in silenzio fuori lo stadio.
Ma il culmine della realtà calcistica nordcoreana, unita al culmine della propaganda nordcoreana la si ha ascoltando le parole del portiere del Pyongyang City e della Nazionale, Ri Myong-guk, in un intervista rilasciata al The Guardian: “La finale di Coppa in Corea del Nord non ha eguali. Metà dei posti nello stadio sono per i civili – che in estate indossano tutti cappelli bianchi, camicie bianche e cravatte rosse – mentre l’altra metà è per i soldati. Gli steward controllano i tifosi con delle bandierine, istruendoli su quando cantare e applaudire. Per il resto, si gioca in maniera pulita: senza eccessi, batti-cinque o falsi infortuni. Dopo ogni gol la folla applaude all’unisono e – se il leader supremo è presente – tutta la squadra che ha segnato si precipita dinnanzi a lui per salutarlo. Nelle partite di campionato la musica dal vivo è interpretata da una banda militare. Nessun annuncio circondano il campo. Non ci sono code, stand di hot-dog o venditori di qualsiasi genere. I media non possono che contare su tre operatori video che si trovano dietro le porte.”
Il calcio in Corea del Nord ha tutto un altro stile, ci ricorda forse un calcio antico privo di sponsor o di mammolette che si lanciano a terra dopo ogni minimo contatto anche se, a parer mio, il fascino dello schiamazzo allo stadio non ha eguali.