Il calcio piange Paolo Rossi. Con l’Avellino un legame di gioie e dolori

Il mondo del calcio piange sgomento la morte di Paolo “Pablito” Rossi, eroe del trionfo azzurro ai Mondiali di Spagna del 1982. Un pezzo indimenticabile della storia dello sport italiano è andato via in silenzio, inaspettatamente, all’età di 64 anni. Il ricordo della sua sincerità, della sua mitezza e della leggenda scritta in quella meravigliosa estate resteranno indelebili nella mente di tutti gli appassionati, letteralmente travolti dalla notizia arrivata nella notte.

Gli anni in cui Rossi fu protagonista e artefice sono gli stessi dell’epopea dell’Avellino. In maniera inevitabile, dunque, il destino di Pablito si è spesso scontrato con quello dei biancoverdi, producendo esiti dal valore opposto. Il primo momento che lega Rossi all’Avellino è infatti il più difficile della sua carriera, ossia l’accusa di combine che gli valse due anni di squalifica. Il centravanti fu ritenuto uno degli artefici del pareggio concordato tra Avellino e Perugia del 30 dicembre 1979, gara nella quale segnò una doppietta. Una serie di combinazioni diaboliche rafforzarono l’accusa, decretando uno stop di due anni. Una ferita troppo grande per Rossi, consapevole di essere innocente e difatti scagionato ad anni di distanza.

Un episodio simile non può che rendere amaro il sapore delle sfide all’Avellino. Una sensazione che però andò via in fretta, visto che nel 1984 Rossi conquistò al cospetto dei lupi il suo primo scudetto da protagonista. Con la maglia della Juventus, l’eroe di Spagna ’82 realizzò il 6 maggio ’84 il gol che consegnò il tricolore ai bianconeri, in una gara che decretò al contempo la salvezza dell’Avellino. Fu così che la ferita si rimarginò, che le lacrime di dolore divennero pianto di gioia. Quelle stesse sensazioni miste che Rossi ha regalato a milioni di tifosi: gioia pura nel 1982, dolore e commozione oggi. Ciao Pablito.

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